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Rapporto morale dell’associazione ClubMediaItalie / ClubMediaFrance 10 giugno Parigi 2023

di Paolo Alberto Valenti

« Amare tutto, comprendere tutto »

Un tempo un uomo particolarmente stolto e insensato che veniva chiamato il Golem, quando si alzava al mattino con grande difficoltà  ritrovava gli abiti per vestirsi. Al tramonto, al solo pensiero spesso aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece coraggio, prese la matita e su un foglietto, mentre si spogliava, annoto’ dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente si alzo’ tutto contento e prese la sua lista. I pantaloni erano li’ e li indosso’, la camicia qui e se la mise, il berretto là…ma una volta che ebbe indossato tutto si chiese all’improvviso: ma io dove sono? Dove sono rimasto?  Invano si cerco’  e non riusciva a trovarsi. In realtà tutto questo accade anche a noi. Noi dove siamo?

Dino Campana avrebbe risposto…”sono sempre sulla riva di un sogno”, ma i sogni non sono preorogativa esclusiva dei poeti. L’Europa è stato un lungo e complicato sogno millenario che non si è ancora sognato fino in fondo e quindi non si è pienamente realizzato. L’Impero Romano era già europeista ed europeista è stato, in modo criminale, anche Hitler.

Le origini della nostra associazione risalgono allo stanziamento che era sempre più generalizzato in Europa di giornalisti di diverse nazionalità, in prevalenza espatriati interni all’Unione Europea. Giornalisti non più esclusivamente inviati o corrispondenti a vario titolo per l’Italia. Abbiamo ritenuto importante una forma di associazionismo che, legata al sindacato unico dei giornalisti italiani FNSI e inizialmente anche all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, si facesse testimone delle istanze di chi ha effettivamente lavorato e lavora fuori dalla madre patria, in una logica di integrazione a vari livelli col giornalismo e il mondo dei media francesi ma non solo. La scommessa è stata vinta solo in parte anche perché il terreno in cui ci muoviamo resta ibrido, incerto, mutevole, irto di incognite. Tuttavia la possibilità data agli aderenti di ottenere tutela in italiana dalla FNSI, in Francia dalla SNJ e a livello internazionale dalla IFJ, seppure dietro il pagamento di quote di adesione che nell’insieme pretendono 170 euro l’anno (60+70+40, cacolo solo 40 euro annue per IFJ perché come sapete ne paghiamo 80 ma la tessera internazionale ha validità biennale), fa della nostra squadra una comunità di professionisti perfettamente integrata nei circuti continentali e internazionali della professione.

L’acquisizione di uno status non è pero’ mai data per sempre e il paesaggio della professione non conforta. Inoltre siamo già pienamente immersi nella dimensione del post-giornalismo con tutti i suoi cascami come quelli che hanno reso i corrispondenti e i collaboratori ovunque degli schiavi di sè stessi. Quando Pier Vittorio Tondelli anche con Un weekend post-moderno rappresentava la sostanziale fragilità dei miti della spumeggiante Italia anni Ottanta (che in tanti avevano decantato), molta della gioventù di allora si incamminava in interminabili weekend non solo estivi, verso le megadiscoteche della Riviera romagnola in cui il culmine della festa si trasformava a volte in tragedia, in overdose. Come gli esausti discotecari di allora anche noi giornalisti del terzo millennio ci siamo ubriacati di internet e informatica ed oggi ne constatiamo le trappole, in  una selva di fake news che aprono universi distopici e rendono dannoso il nostro lavoro. Inoltre se il pubblico non si fida più di noi il nostro compito è finito.

Il caso Euronews

Non si può affermare che la creazione di ClubMediaFrance /ClubMediaItalie sia estranea alla costituzione della televisione paneuropea Euronews, che al suo sorgere aveva messo in linea le maggiori lingue europee con la creazione di altrettante equipe linguistiche che hanno rappresentato il nocciolo duro di questo media (italiana, francese, tedesca, inglese, spagnola).

Con la vendita di Euronews al fondo d’investimenti portoghese Alpac nell’estate del 2022, la Rai e la quasi totalità degli altri canali pubblici europei superstiti sono spariti alla chetichella da Lione e lasciano sul campo 30 anni di collaborazione giornalistica internazionale finanziata con centinaia di milioni di euro d’investimenti pubblici comunitari e nazionali. La nuova proprietà ha proceduto a presentare piani sempre più pantagruelici di riduzioni del personale e persegue i suoi obiettivi di bilancio come un rullo compressore.

La battaglia di ClubMediaItalie – che dal 2017 ha puntato a far riconoscere alla Rai la sua responsabilità morale nei confronti dei giornalisti storici italiani presenti a Lione – puo’ definirsi perduta, ma ci ha permesso di dimostrare l’indifferenza di diverse istituzioni italiane che rispecchiano la natura stessa di una certa fetta del nostro popolo, europeista a parole e campanilista nei fatti. Tutto questo produce indifferenza, quella che scontiamo noi di Euronews insieme a tutti gli altri iscritti a CMI, una indifferenza che ci sospinge in un limbo e ci obbliga a rappresentare un ibrido perché la dimensione di una macropatria europea di fatto amministrativamente non esiste, tuttavia sono ben vigenti quelle regole comunitarie economico/legislative che si sforzano di far si che l’Europa si barcameni nella complessità della varie congiuture con risultati poco soddisfacenti. In tutto questo la sensazione che l’Europa stessa voglia rimanere solo a livello di ibrido è ormai comprovata con la mediocre giustificazione che 27 paesi sono ingovernabili all’unisono.

Elencare tutto quello che ci siamo inventati e abbiamo fatto in questi ultimi 7 anni per combattere questa indifferenza e promuovere il giornalismo di qualità è molto doloroso. ClubMediaItalie deve continuare a vivere in un mare in burasca e su una navicella fragilissima.

La fine del vecchio progetto di Euronews con la conversione della testata in un media sostanzialmente anglofono è la prova stessa dell’indifferenza davanti ad una Europa compiuta col plenum di tutte le sue maggiori lingue. Il battagliero collega di Radio Radicale Giorgio Kadmo Pagano ha ricordato con atti legali e denunce alla Commissione la cattiva amministrazione linguistca post-brexit: l’uscita di 66 milioni di britannici da un’Europa che non hanno mai profondamente amato, avrebbe dovuto riportare l’uso dell’inglese nell’unica casella che gli spetta, certo come koiné internazionale ma non come esclusivo  veicolo linguistico ufficiale continentale. Penso proprio a una delle più ciniche battute di Winston Churchill che dopo la vittoria sul nazifascimo parlo’ di dominio linguistico come apoteosi definitiva. E’ acclarato che questa Europa si sta muovendo in modo non conforme al diritto europeo. L’Italiano per numero di parlanti è la terza lingua dell’Unione ma è stata squalificata ed è sostanzialmente negletta. Se vogliamo essere precisi una generica difesa della lingua viene sbandierata in patria dal governo di Giorga Meloni che pretende l’uso delle parole italiane per la pubblica amministrazione ma il governo italiano cosa fa in concreto per difendere l’italiano in Europa? E cosa hanno fatto i governi precedenti?

Più che le scuole di lingua che ci sono a vari livelli in tutto il continente quello che manca per l’Italiano è proprio il supporto vitale per la diffusione della lingua cioè strumenti media che parlino italiano, non solo quelli che diffondo “un tanto al chilo” pizza, spaghetti e mandolino. Di fatto sono poche le istituzioni italiane che fanno scelte coraggiose. Il meccanismo della redazione immediatamente e vastamente internazionale era invece il più confacente all’Europa, un meccanismo che risulta particolarmente virtuoso per molteplici motivi: il confronto con la lingua dell’altro, la cultura dell’altro, la percezione dell’altro in una progressione di mutuo arricchimento culturale, informativo, linguistico. Il meccanismo consente a tutta prima l’individuazione di retaggi obsoleti perché si opera in regime di mediazione culturale, quella che i corrispondenti o gli inviati dovrebbero applicare d’ufficio, questo è lo straordinario pane quotidiano di una redazione con tante nazionalità. Questa è la necessaria palestra del mondo che verrà e senza la quale non ci sarà futuro, una dimensione destinata ad abbandonare le grettezze del nazionalismo da quattro soldi. Il fatto che il mercato del lavoro giornalistico in Europa non consenta la proliferazione delle redazioni multilinguistiche, come noi ci auspichiamo, non è sconfortante, è un dramma, è un limite assoluto, è il segno dell’involuzione verso la guerra perché invece di aprirsi all’altro e alla conoscenza si procede con un protocollo desueto,  si torna alla fallimentare diplomazia ottocentesca, alla dimensione del non dialogo, dell’imbroglio diplomatico, dell’incapacità nel cogliere le problematiche dell’altro, è il trionfo dell’allontanamento dalla pace, oggi sotto gli occhi di tutti. Ma veniamo al “dove” siamo noi, la nostra dimensione associativa.

ClubMediaItalie/ClubMediaFrance, i punti

  1. Il nostro progetto resta parzialmente pragmatico ma sostanzialmente simbolico di quello che il giornalismo europeo dovrebbe essere e non è; nel senso che nel saldare giornalismo francese e italiano (renderli più comunicanti) aspiriamo ad un comparto solidale, a una prima cellula da far riprodurre. Tengo a precisare che, come dichiarato al suo sorgere, questo modello di associazione viene esattamente incontro alle esigenze di quell’europeismo virtuso già indicato. Il progetto non avrebbe funzionato con un clubmediaspagna o un clubmediagermania e per ovvi motivi. Forti di secoli di profonde collaborazioni, soprattutto culturali tra Italia e Francia, sappiamo di operare nel terreno più fertile che c’è, solo da questa fusione “Roma/Parigi” ( e a rimorchio una fusione con l’insieme della francofonia) puo’ nascere molto frutto nel senso che intendiamo, nel senso europeista del termine.
  2. Nonostante la buona volontà di molti attori del palazzo (intendo senatori e deputati) che hanno collaborato fino agli anni scorsi alle nostre azioni di sensibilizzazione per sostenere  i giornalisti italiani nel mondo, siamo davanti a un sistema Paese che non è interessato ad un lavoro di proiezione internazionale a lungo raggio attraverso un brand internazionale (questo purtroppo è un dato di fatto). Germania, Francia, Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Cina sono grandi potenze dotate di una serie di piattaforme mediatiche che  sono la loro voce, France 24, Arte, BBC World per citarne alcune ma penso anche al cinese Tik Tok, che tanto spaventa e che senza essere propriamente una testata è diventato un formidabile collettore di vario genere di contenuti video. L’Italia, che dispone del linguaggio universale della cultura e dell’arte con una galleria di icone infinite e di assoluta presa, non ha prodotto nulla di tutto questo anche per la questione della lingua di cui ho detto prima. La cosa più stupida che avevo sentito dire (grazie a Dio ormai tanti anni fa) in Farnesina è che l’Italia non ha bisogno di promuoversi perché “questo lavoro lo fanno già pizza, spaghetti, Ferrari e Martini”. Oggi si puo’ dire, senza tema di sbagliare, che al seguito di questi simboli si è prodotta una immagine spesso deteriore dell’Italia e degli italiani e l’abbiamo pagata tutti. L’ultima prodezza investe la mia povera conterranea Simonetta Cattaneo Vespucci (una genovese), cioè la modella assoluta del Botticelli, che morta di tisi nel 1476 a 23 anni adesso deve pure ingozzarsi di pizza per far piacere al Bel Paese. Chi ha disprezzato le sottocultue giovanili e che oggi fa il verso all’uso sterminato che è stato fatto dell’opera meno significativa di Leonardo da Vinci cioè la Gioconda (che qui in Francia è comunque un regina, anzi la regina di Parigi) non ha capito che solo un’opera maestra come questa, costruita in un regno di totale ambiguità, poteva aprire il flusso infinito e irriverente dell’imitazione e della parodia quando Marcel Duchamp Facendole spuntare i baffetti diede il via a questa moltiplicazione infinita degli usi giocosi della Gioconda (jocondologie/joncondoclastie). Ma in questo sta anche la differenza fra un vero artista e un agente pubblicitario. L’Italia non è una scatoletta da vendere al supermercato, l’Italia è l’arte alla quintessenza e senza un giornalismo degno di questa arte e degno dell’italiano, che operi  in onore dell’italiano, non si va nessuna parte nemmeno con la più faraonica campagna pubblicitaria di tutti i tempi.
  3. Il dato della perdita di vigore dell’Italiano è un altra nota dolentissima che ci danneggia come professionisti ma qui credo che solo la politica possa fare qualcosa di efficace e sono benvenute le iniziative o le proposte da veicolare anche sulla ribalta di ClubMediaItalie.

Tuttavia proprio tutti questi limiti ci costringono a interagire o a puntare di interagire con una dimensione più internazionale cioè quella del giornalismo francofono in cui ascrivere anche il progetto Radio Media Italia o Radio Media Italie che vuole essere un vettore di comunicazione e un sito web. Il baricentro associazionistico di ClubMediaItalie/ClubMediaFrance deve spostarsi molto di più su terreni nuovamente fertili per esempio con eventi su Parigi e contestualmente con le possibili evoluzioni del progetto radio che si profila di cerniera su Monte Carlo/Briançon. Il progetto radio è in realtà un insieme multimedia perché oggi non si puo’ pensare più il giornalismo solo come web o tv, non siamo più ai compartimenti stagni. Le autorità francesi dell’audiovisivo ci hanno rimesso in pista per avere il canale di comunicazione e la  Région Auvergne Rhône-Alpes potrebbe essere un nostro partner anche se in tutta la Francia si riducono drasticamente le risorse pubbliche per i media.

Bisognerebbe capire quanta Italia internazionale esiste a Parigi, quanta Italia internazionale esista nel resto d’Europa, non parlo delle grandi firme che in Francia hanno cessato di essere italiane e sono ormai più francesi, ma quanti professionisti francesi e italiani di ogni settore possano essere interessati a sostenerci, a perorare la nostra causa, ad attivare forme di comunicazione nuova, per andare incontro al futuro per diventare i “futuristi” del giornalismo che verrà, probabilmente dobbiamo evadere da una visione limitata e farci portatori anche di più istanze, dell’esigenza che abbiamo di testimoniare una crisi e una volontà di cambiamento.

Rapporto morale dell’associazione ClubMediaItalie / ClubMediaFrance 10 giugno Parigi 2023
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