“La guerra è la lezione della storia che gli uomini non apprendono mai abbastanza”
“Mortan guerrieri” è una delle espressioni irriverenti e colorite del dialetto romano. Non è distante dal più comune “mortacci tua” sebbene invochi la morte ai guerrieri piuttosto che rappresentare una semplice imprecazione contro il male che hanno fatto o avrebbero fatto i padri di chi si becca l’insulto. Quindi “mortan guerrieri” sembrerebbe restare in linea con la situazione contemporanea visto che il virus del nazifascismo è tornato alla moda e più degli altri aveva degradato il soldato al semplice ruolo di criminale in divisa. Tuttavia bisognerebbe precisare sul significato della parola “guerriero” che ormai sfugge a quel che resta della post modernità nel senso che la carriera delle armi, almeno in Occidente, è stata relegata a professionisti che non ricordano neanche più i tempi della coscrizione obbligatoria. Oggi più che mai bisogna riflettere sull’enigma di ogni vocazione guerriera al tempo della falsificazione propagandistica.
La storia è impastata di guerre che hanno trasformato, rivoluzionato, peggiorato il mondo ma oggi il discrimine è dato dal fatto che la tecnologia, con la sua capacità di annientamento totale, è sempre più protagonista assoluta su ogni campo di battaglia. I conflitti mostrano come nei guerrieri (nell’accezione migliore del termine) si possa riconoscere una tragedia non più ritualizzata ma situata nella vita dei popoli sempre più in balia di politici inetti o disonesti.
Affinché la guerra scoppi ci vogliono almeno due nemici. Tuttavia nell’età della bomba atomica la costituzione di reparti di guerrieri ben addestrati con armamento convenzionale può essere del tutto irrilevante per l’esito del conflitto, quindi l’esistenza del guerriero come precondizione alla guerra e come lo intendevano i nostri nonni è irrilevante. Certo se la Cina riuscirà a mettere in campo un esercito da 20 o 30 milioni di soldati allora potrebbe esserci un ritorno al passato con dinamiche belliche relativamente convenzionali, ma la domanda resta questa: il ruolo del guerriero -come lo abbiamo inteso fino a poco fa – ha ancora senso nelle guerre ipertecnologiche? In fondo anche un esercito da 30 milioni di soldati può soccombere ad un bombardamento nucleare massiccio.
Ai tempi della “bella morte” in battaglia il vero grande guerriero era colui che raggiungeva l’obiettivo, per esempio la liberazione di ostaggi, col minor danno possibile per tutti, viceversa oggi chi raggiunge analogo obiettivo sterminando il nemico e, giocoforza, anche parte degli ostaggi, è soltanto un criminale in più.
Oggi scienza e tecnica trionfano su qualunque ardimento tanto che il povero guerriero, se volesse continuare ad avere peso, dovrebbe trasformarsi in un genio della missilistica, un Nostradamus della fusione nucleare o comunque una mente motivata, si spera, dall’amore sincero per il proprio popolo, prerogativa che gli imporrebbe anche di restare clemente nei confronti del resto dell’umanità. Intanto, dopo la seconda guerra mondiale, la figura del guerriero è stata progressivamente svalutata, per non dire rimossa, dalla rappresentazione collettiva tanto che fino a quando c’è stata la coscrizione obbligatoria era percepita come un castigo, non come l’opportunità di vivere un’avventura.
Per questo l’attuale corsa al riarmo convenzionale (al di là di qualunque ragionevolezza) lascia, più che perplessi, allibiti anche perché il concetto di morire in guerra per i cittadini occidentali non è più configurabile, qualora non ci sia una chiara e inequivocabile incombente minaccia verso il loro paese. Solo in questo caso entra in campo l’istinto di sopravvivenza che può trasformare tutti in guerrieri con risultati che spesso sono molto migliori di quelli ottenuti dai professionisti sfornati da blasonate accademie militari.
In assenza di certezze su chi sia il nemico e senza obiettivi che vadano al di là delle battaglie per le fonti energetiche o per l’acqua e i traffici commerciali, lo spauracchio della guerra è solo il migliore degli alibi che consente al politico astuto di governare popoli inebetiti dalla propaganda e dai social, davanti ai quali far baluginare orizzonti di salvezza.
Per portare un popolo in guerra il politico, l’uomo di stato, ha bisogno di esercitarsi in una retorica astrusa e incantatoria presaga di sciagure, peraltro l’armamento convenzionale come deterrenza primaria è del tutto relativo. La deterrenza oggi la fanno ancora le testate nucleari che pure non sono in grado di assicurare la sopravvivenza stessa di chi le adopera. Nell’odierna partita a scacchi con i cavalieri dell’apocalisse c’è una grande assente: la diplomazia che troppo spesso abbiamo visto arrendersi davanti alla scarsa saggezza dei politici altrettanto incapaci di riuscire a farla valere. Ne è un esempio concreto quello che è stato fatto della Nato in epoca post-sovietica. Anche se la Nato avesse reclutato tutti i paesi del mondo le garanzie di pace imperitura non ci sarebbero, inoltre il fatto di aver proseguito nelle logiche della guerra fredda, dopo il dissolvimento del blocco orientale, è fra le prime cause della situazione catastrofica in cui si trova oggi l’Europa.
Ma intanto quali sacri ideali verranno messi in campo per generare una gioventù europea che oltre ad essere sempre più numericamente risibile possa diventare audace e bellicosa? Una volta finite le scampagnate in cui si impara a sparare, a smontare un fucile, a gestire la mimetica e i camuffamenti per i diversi teatri di guerra, a ingurgitare le razioni K sicuri che comunque dalle 18:00 ci si farà la doccia per andare nel paese vicino a mangiarsi una pizza, una volta finito l’addestramento su come usare una bomba a mano, una mitragliatrice o come auto medicarsi, lo capiranno mai questi giovani sventurati che il confronto vero è con la morte e che quello stesso potere che in condizioni normali ti mette in galera se uccidi qualcuno adesso ti chiede di uccidere il nemico e di farti uccidere?
Una mente lucida non può non notare in tutto questo una deriva abominevole, un ritorno agli inferi che pretende di resuscitare le “masse di guerra” come quelle che venivano manovrate durante i conflitti mondiali. Se l’intelligenza artificiale fosse veramente utile dovrebbe poter istruire l’uomo su come fare dei nuovi eserciti degli apparati virtuosi e non dei reparti di criminali in divisa, su come risolvere i conflitti prima che scoppino le guerre, su quali siano le scelte strategiche che possano mettere tutti d’accordo invece sembra che l’intelligenza artificiale sia utile per il lavaggio del cervello; basta interrogare chatgpt e vedere come fa fatica a capire che è stata soprattutto l’Armata Rossa a distruggere il nazifascismo.
Il patriottismo, a cui si cerca di alludere nei discorsi ufficiali, ha il sapore dell’opera buffa proprio perché non identifica bene le minacce senza contare che la distruzione dell’amor di patria in Italia risale proprio alla catastrofe operata dal fascismo. Se i fascisti fossero veramente stati degli araldi del loro paese e del popolo italiano non si sarebbero mai schierati al fianco della barbarie nazista. Anche la retorica di “Dio, patria e famiglia” equivale ormai al ritornello di una barzelletta scaduta che prima di tutto insulta i veri credenti ponendo la divinità fuori da un contesto universale e al servizio di una fazione nazionalistica.
L’unico scopo della retorica bellicista sta nella riconversione dell’industria occidentale ma quali sono le reali prospettive?
Non c’è bisogno di un premio Nobel in economia per capire che una volta ricostituito l’apparato bellico verrà adoperato e poi riconvertirlo in una economia di pace sarà quanto di più chimerico esista: un obice o un aereo caccia di ultima generazione non possono essere utilizzati per produrre farmaci, fare il caffè o arare i campi. Per tornare alla pace ci vorranno altri sforzi, altri sacrifici e altri investimenti da gestire magari in mezzo alla desertificazione morale e materiale di buona parte del pianeta. È veramente venuto il momento di fermarsi e bisogna farlo istantaneamente. La dominante logica di guerra sembra il definitivo annientamento del pensiero razionale (nell’epoca della razionalità scientifica!) davanti a popolazioni indifese e funzionalmente analfabete.
Lontanissima è l’antica logica del vero guerriero, del suo prestigio, del suo valore sociale che si attivavano solo se, sconfiggendo il nemico, aveva saputo dimostrare quel senso di umanità che diventa paradossalmente la salvaguardia del nemico stesso a tutto vantaggio di una pace duratura.
Questo eroe epico o romantico rientra nelle categorie delle specie estinte anche grazie a quel neocapitalismo tenacemente autodistruttivo che considera eroi solo i costruttori di imperi economici pronti a infischiarsene della generale intossicazione del pianeta e dello sterminio dei popoli più deboli a tutto vantaggio di un social darwinismo che sta solo apparecchiando la cessazione definitiva della presenza dell’uomo sulla Terra.
Paolo Alberto Valenti