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Assemblea Generale di  ClubMediaItalie – Parigi 2023

Paolo Valenti - "Dateci parole vere"

Paolo Valenti président de l'association ClubMediaItalie

Le origini della nostra associazione risalgono allo stanziamento che era sempre più generalizzato in Europa di giornalisti italiani e anche di altre nazionalità, in prevalenza espatriati interni all’Unione Europea. Giornalisti non più esclusivamente inviati o corrispondenti a vario titolo per l’Italia. Abbiamo ritenuto importante una forma di associazionismo che, legata al sindacato unico dei giornalisti italiani FNSI e inizialmente anche all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, si facesse testimone delle istanze di chi ha effettivamente lavorato e lavora fuori dai confini nazionali in una logica di integrazione a vari livelli col giornalismo e il mondo dei media francesi e più in generale col settore media internazionale. Un modello di lavoro (che fino a ieri era l’eccezione) svolto al di là delle barriere/frontiere nazionali, presto destinato a diventare la norma.

La scommessa è stata vinta solo in parte anche perché il terreno in cui ci muoviamo resta incerto, mutevole, irto di incognite. Tuttavia la possibilità data agli aderenti di ottenere tutela in italiana dalla FNSI, in Francia dalla SNJ e a livello internazionale dalla IFJ, fa del nostro sodalizio una comunità di professionisti integrata nei circuti continentali e internazionali della professione.

L’acquisizione di uno status non è mai data per sempre e il paesaggio della professione non conforta, la grande domanda è come estendere le tutele al di là delle frontiere.

La sfida di ClubMediaItalie/ClubMediaFrance resta permanente ed è aperta a tutti coloro che credono ai mestieri dell’informazione come a strumenti indispensabili per il bene collettivo. Mentre il mondo distopico delle falsità si oppone ad ogni autentica (virtuosa) idea di progresso la nostra massima aspirazione resta quella di comunicare parole vere.

Rapporto morale dell’associazione - Parigi 2023

Un tempo un uomo particolarmente stolto e insensato che veniva chiamato il Golem, quando si alzava al mattino con grande difficoltà ritrovava gli abiti per vestirsi. Al tramonto, al solo pensiero spesso aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece coraggio, prese la matita e su un foglietto, mentre si spogliava, annoto’ dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente si alzo’ tutto contento e prese la sua lista

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Giacomo Mazzone

Quando Paolo Valenti ed altri pochi entusiasti e volenterosi lanciarono l’idea di Club Media Italie ormai molti anni fa, l’idea mi sembrò anticipatrice dei tempi. In un’Europa sempre più integrata, inevitabile che i media ed i loro professionisti, avrebbero vissuto come normale una tripla identità: quella del paese d’accoglienza, quella del paese di nascita, quella europea.

Pensavamo allora che questa condizione sarebbe stata vissuta da sempre più colleghi e che questa condizione sarebbe prima o poi diventata la prassi per tutte le generazioni Erasmus. Sperando magari che nell’integrazione che progrediva, noi giornalisti italiani ci avremmo perfino guadagnato, avvicinandoci alle garanzie francesi, ben migliori di quelle nazionali.

Ed invece, qualcosa è andato storto in quel processo di integrazione atteso. In suo luogo, è invece arrivata , come una sorpresa per tutti, la Brexit, il ripiegamento sugli stati nazionali, cui si sono aggiunti poco dopo e per sovrammercato il COVID e perfino la guerra in Ucraina.

Cosi quelli che avevano lanciato il cuore oltre l’ostacolo, mettendo l’Europa prima degli stati di nascita o di adozione, si sono ritrovati soli (o quasi). Qualcuno addirittura dietro le linee “nemiche” ( i colleghi andati a lavorare in Gran Bretagna), o –quelli di Media Italie- in paesi con cui sono riaffiorate vecchie ruggini di remota memoria, risuscitate ad hoc da parte di aizzatori di anime.

Cosi mi sono tornate alla memoria le parole di Kryzstof Zanussi, grande saggio e regista polacco di origini italiane, che trentanni fa mi diceva: “voi giovani cresciuti ad ovest non sapete che la storia non ha un percorso lineare, che essa può andare per salti, ma, a volte, può anche tornare indietro. Noi dell’Europa centrale, lo sappiamo bene e non lo dimentichiamo”.

Oggi siamo in un momento della storia d’Europa in cui la storia deve decidere da che parte andare: o fare un salto verso un’Europa piu integrata, piu coesa, con meno barriere soprattutto culturali, oppure tornare indietro, verso un’Europa delle Nazioni, che poi vuol dire, un’Europa dove ognuno va per la sua strada e quindi dove tutti i paesi sono destinati ad essere irrilevanti nel nuovo ordine mondiale che si disegna davanti a noi. Che altri stanno disegnando per noi.

Per tanti anni ci siamo battuti per un mondo dei media europei sempre piu integrato, in cui l’opinione pubblica europea potesse avere dei media transnazionali per formarsi un’opinione comune sulle sfide che il mondo pone di fronte a tutti noi.  Ed invece –al contrario- ci ritroviamo alle prese con un mondo di media tradizionali sempre più deboli, , dove i cosiddetti “campioni europei” si stanno sciogliendo uno dopo l’altro come i ghiacciai delle Alpi. Dove in Spagna, Polonia, Danimarca ed i quasi tutti i paesi dell’Est le tv (salvo quella pubblica) sono sotto controllo di gruppi stranieri (soprattutto americani), mentre la stampa è sotto scacco delle piattaforme internet, che le sta portando via tutte le risorse. Un anticipo di quanto avverrà anche per tv e radio.

Un combinato disposto che ha come prima conseguenza che il mestiere di giornalista sia sempre più negletto, pauperizzato, ridotto ad una parodia di quello che era ventanni fa, con sempre meno garanzie di indipendenza professionale, meno tutele e salari poverissimi per i nuovi entranti. Una miscela esplosiva che ha portato al collasso dell’INPGI in Italia ed alla scomparsa o quasi degli “editori puri”, rimpiazzati dagli editori “impuri”, cioè portatori di interessi economici, che usano i media per proteggere o estendere interessi d’altro tipo: dalla sanità privata alle costruzioni…

Il caso di Euronews –che è stato all’origine di Club Media Italie e che è stato palestra di giornalismo europeo per una generazione di colleghi italiani e non- è esemplare per illustrare questa parabola. Canale di informazione paneuropea, fondato nel ’93, come reazione allo strapotere USA rappresentato dalla CNN, per iniziativa delle tv di servizio pubblico europeo (con la RAI come secondo maggiore azionista),  e col sostegno di alcuni governi e dell’Unione Europea, è poi passato di mano in mano. Per arrivare nel 2022 a finire sotto il controllo di un gruppo economico vicino ad Orban, che probabilmente lo userà per far campagna elettorale nel 2024 per sostenere un’idea di Europa sovranista….

Se cosi accadra (come tutto lascia presagire), ci troveremo dinanzi ad una metafora perfetta di come un’idea si possa trasformare nel suo esatto contrario, per l’insipienza e la mancanza di coraggio di chi l’ha gestita.

Qualcuno potrebbe trovare queste note pessimiste e senza speranza. Mentre invece sono l’esatto contrario: solo comprendendo a pieno gli errori commessi, si può sperare di cambiar rotta e raggiungere l’obiettivo.  Che è e resta uno solo: lavorare alla costruzione di un’opinione pubblica paneuropea e transnazionale, che renda consapevoli i cittadini che non c’è alternativa alla costruzione di un’Europa finalmente unita e capace di parlare con una sola voce. Un’Europa la cui premessa indispensabile è quella di un’opinione pubblica comune. Da creare prima che sia troppo tardi, prima che il nostro diventi un continente di vecchi, prima che le nostre eccellenze siano tutte fuggite altrove…

In questo l’esempio della Gran Bretagna che sta affondando ogni giorno di più, per aver con la Brexit inseguito il suo sogno di correre da sola, è un grande monito per tutti e potrebbe esserci di grande aiuto.

Andrea Barolini

Andrea Barolini secrétaireLa finanziarizzazione dell’economia ha mostrato più volte i suoi limiti. Permettere alle logiche finanziarie di governare anche settori vitali per lo sviluppo dell’umanità, senza regole che garantiscano il rispetto dei beni comuni e dei valori fondamentali delle nostre democrazie, rappresenta un rischio gigantesco che stiamo correndo senza rendercene conto. Dall’energia ai farmaci, dalla salute alle risorse alimentari, sappiamo ormai come gli attori finanziari siano in grado di alterare profondamente le attività economiche. Quando gli attori finanziari acquisiscono i mezzi di comunicazione, trattandoli come un altro “bene”, i rischi si moltiplicano. Servono regole nuove, mirate ed efficaci per proteggere un settore che non ha eguali, perché è fondamentale per la tenuta delle democrazie.
ClubMediaItalie può concentrare la sua attività anche e soprattutto attraverso il lancio di nuove iniziative editoriali promosse direttamente dai giornalisti, che è il modo migliore per garantire indipendenza e professionalità.
È un modo per gettare i semi di un nuovo modello di sviluppo, come molti economisti di fama mondiale hanno da tempo sottolineato. È anche un modo per cercare di porre le basi per superare la precarietà del mondo del giornalismo, che rende i professionisti sempre più ricattabili, costretti a dire “sì” anche a condizioni contrattuali e professionali inaccettabili per poter mantenere il “privilegio” di un piccolo reddito.

Francesco Rapazzini

Fransceco Rapazzini

Io vorrei agganciarmi a quanto detto dall’amico Andrea Barolini e puntare il dito sulla « dipendenza » del nostro mestiere ai voleri e non dei finanziatori che dell’informazione non hanno assoluta cura se non quella di richiedere indietro ai giornali finanziati capitale investito e/o interessi politico-finanziari. E chi ci va di mezzo è la libertà, la dignità, la storia del nostro mestiere ormai discreditato, e volutamente discreditato, dai nostri datori di lavoro. Discreditato a tal punto che quasi è diventato in maniera paradossale oltraggioso dire « Sono giornalista » o « faccio il giornalista » visto che fare e essere giornalisti non sono più considerati dei mestieri ma delle attività a latere che tutti sanno fare. I veri mestieri sono ingegnere, medico, avvocato, commercialista, quesi mestieri insomma che non tutti « sanno fare » perché non tutti « hanno studiato ». Con l’avvento dei social si è confuso – e questo è colpa non di chi usa i social, ma di chi ne usufruisce – insomma si è confuso il ruolo di testimone con quello di giornalista. Chi filma una scena di violenza o un orso che sgambetta per un bosco è considerato un giornalista, un reporter e non più e solo un semplice testimone. E la confusione ha portato a credere e a far credere che tutti siamo giornalisti. Basta essere al posto giusto al momento giusto. Un errore che si è tramutato in orrore. Perché il neo-giornalista e forse anche influencer (quindi pubblicitario) non sa filtrare, non sa contestualizzare, non sa fare tutto quel corredo di atti e pensieri che un giornalista professionista sa fare e fa sempre. E allora? beh, allora, con « siamo tutti giornalisti » perché pagare in maniera decente un giornalista professionista se si può pagare, indecentemente, un giovane studente Erasmus o un vacanziere in infradito che si vedono così gratificati non solo di apparire sui giornali online e su carta ma anche di ricevere un emolumento giusto per invitare la fidanzata a prendere il gelato. 
Purtroppo il nostro sindacato non ha saputo o non ha voluto o, piuttosto non ha visto venire, questo nuovo mondo e nuovo modo di fare del non-giornalismo e che in questi ultimi dieci anni ha stravolto il nostro mestiere. Un mestiere che ormai conta più giornalisti professionisti free-lance che assunti, un esercito che è affatto tutelato in alcuna misura economica e in dignità del lavoro.