Prima di parlare di corrispondenze all’estero, parliamo di cos’è il giornalismo, di chi è un giornalista. Ricordiamolo, appunto, anche perché in molti, in troppi non lo sanno più, o fanno finta di non saperlo più. Il giornalista è il tramite che unisce un fatto a un lettore. Non è il lettore, non è il fatto. Oggi, si confondono i tre ruoli: chi è testimone di un fatto crede di essere perciò pure un giornalista. E invece no, resta un testimone. Il giornalista, perché è un professionista, prende una giusta distanza dal fatto e lo analizza. Come dice a meraviglia il mio amico e collega Paolo Valenti, un giornalista, depositario di storie, sa vedere, sa raccontare e sa amare il mondo.
La professione tutta in Italia, e non solo i corrispondenti all’estero, è squalificata. Abbiamo addirittura una presidente del Consiglio che fa delle conferenze stampa senza la stampa. Un paradosso. Farebbe addirittura sghignazzare se non fosse patetica la complicità al suo agire di tutte le testate, sia televisive sia radiofoniche o cartacee o sul web: sì complicità, perché tutte trasmettono o trascrivono il dire della signora Meloni piuttosto che gettarlo in pattumiera fintanto che la medesima non si presta al gioco democratico del botta e risposta con la stampa. Ecco, dicevo, rivediamo chi è giornalista e chi è solo il megafono di un fatto, il megafono di un parlare bugiardo o meno che sia.
In questo contesto il lavoro del corrispondente è primordiale. Ma ormai è spezzato, anzi spazzato via. Diceva la nostra amica e maestra ed esempio di giornalismo Marcelle Padovani – ogni suo articolo è straordinario di umanità e profondità – che la nostra professione è quella di un “post-corrispondente, precario, mal pagato, vulnerabile, ricattabile”. Diceva, appunto: perché oggi il corrispondente non è nemmeno più precario, non esiste più. Gli uffici di corrispondenza hanno chiuso gli uni dopo gli altri, considerati inutili. Inutili?
È terribile oggi leggere la stampa italiana su fatti francesi o inglesi o tedeschi: è tutta uguale, è tutta omologata, è tutta senz’anima. Riprende le agenzie di stampa, riprende quello che si trova su internet, traduce in fretta con i motori deepl.com o google lanci di agenzie estere. E oggi, felice, aspetta con ansia, anzi, già utilizza, l’Intelligenza Artificiale fidandosi e appoggiandosi solo a lei e non affidandosi più al fattore umano, all’animo umano di un corrispondente in carne ed ossa.
Troppi i costi, dicono i proprietari delle testate, troppi i costi dicono gli azionisti. Giusto. In venticinque anni di corrispondenze da Parigi il mio bel parco iniziale di collaborazioni si è sempre più ridotto, sempre più affievoliti i compensi che scendevano a ogni aumento del salario degli assunti. I nostri sindacati italiani, d’altronde, si sono sempre e solo interessati a chi è assunto in una redazione, non a chi, da free-lance – e ormai i corrispondenti sono quasi tutti free-lance – faceva già fatica a pagarsi un affitto decente, a fare una spesa di prodotti sani al mercato. Insomma, giornalisti di serie A e giornalisti di serie B o S (S per Sfigati).
Che fare oggi?
Come fare per ravvivare l’interesse alla nostra professione e distogliere chi segue gli influencer – nome distorto dalla realtà essendo questi solamente degli imbonitori al soldo di marche consumeristiche e non certo degli opinionisti – come fare per distogliere i terrapiattisti e chi segue le fake news sulla rete? Non è un segreto per nessuno: ci riusciremo quando avremo ridato alla nostra professione la giusta dignità che le spetta, quella giusta dignità che oggi troppi direttori, complici degli editori e della propaganda non solo politica che questi impongono, hanno dimenticato.
Noi, piccolo gruppo resistente in terre francofone, ce la stiamo mettendo tutta. Però è duro, veramente duro. Ma come racconta quella magnifica leggenda del colibrì che goccia a goccia cercava di spegnere un gigantesco incendio della foresta, a chi gli chiedeva se fosse pazzo a credere di riuscire nel suo intento, rispose: “Lo so, ma almeno faccio la mia parte”.
Francesco RAPAZZINI