de Maria Luigia Ronco
Occhi di bimbo
mi guardano
dalle pagine di un giornale
e una civiltà di carta stampata
(lettere parole scienza)
annega
in due laghi cupi di disperazione
che abissi d’odio nascondono
senza sapere il perché
occhi inermi
di creatura che non sa mentire
che un gesto di pace attende
da chi leggere sappia
non parole su carta
ma verità di pupille spalancate
su di un mondo ostile
figlio ti sento
figlio mai nato
da viscere rese sterili dall’odio
figlio e padre
che tace parole di condanna:
muto parla lo sguardo
pesante di dolore
sull’umanità che perisce
nuda mi sento
sotto quello sguardo
(così davanti alla vita
davanti alla morte)
nuda e inutile
per non aver saputo vivere
per non saper morire
perché fiumi di parole su carta
millenni di civiltà e storia
(progresso scienza ragione)
non toglieranno a quegli occhi
la disperazione
che una sorgente d’amore invoca
in un deserto di paura
Occhi immensi
che bucano l’anima
dall’infinito di stelle
che sognare non possono
occhi di carta
che aquiloni non videro
né sfarfallio di corolle
nel cielo opaco di croci:
solo spine d’acciaio
a rendere più deserto il deserto
più strazianti le ferite
Occhi di bimbo
mi guardano dalle pagine di un giornale:
occhi sgranati di stupore
perduti su lande sconvolte
su prati che mai sorrisero
su lontananze di tempo oscure
su realtà che capire non sanno
e in quegli occhi
hanno scavato distanze senza fine
simili a buchi neri nello spazio
Chiudere il giornale vorrei
per non vedere…
ma quello sguardo
fisso rimane nelle mie pupille
e analfabeta d’amore
d’amore ancora mi parla
senza parole.