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Il giornalismo senza giornalisti

Territorio e fuga di un mito: il giornalismo europeo negletto dagli attori continentali nell’era del neoliberismo big tech e dell’intelligenza artificiale, ovvero, il giornalismo senza giornalisti.

In questo momento del tempo io ringraziare devo innanzitutto la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, i suoi dirigenti, a partire dalla Segreteria Generale Alessandra Costante, che apre le porte a questa festa per i 20 anni del nostro sodalizio giornalistico transalpino. Grazie al Presidente dell’Ordine Nazionale Carlo Bartoli.  Ringraziare devo il Direttore della FNSI Daquanno, l’ex Direttore Tartaglia, la segreteria, lo staff tutto della Federazione che in questi 20 anni ci ha accompagnato con affetto e professionalità.

Ringrazio per la collaborazione di tanti anni i colleghi e gli amici a partire dalla minuscola pattuglia dei fondatori di ClubMediaFrance,  il tesoriere e dottore commercialista Elia Cunzi, un francese di Parma col quale ci siamo ritrovati nella Lione dei bei tempi andati in cui grandi dirigenti politici (Michel Noir, Raymond Barre…) alla fine del secolo scorso manovravano per internazionalizzare la seconda città di Francia. Monsieur Cunzi è stato essenziale per la creazione dell’associazione.  Ringrazio Giacomo Mazzone, ex direttore dei Euronews e giornalista europeo di alto rango, che è una guida preziosa per quel suo essere in modo innato un professionista dalla veglia mentale assoluta, l’autentico guardiano del faro. Dal 2017 al 2023 quando con un lavoro da carbonari abbiamo cercato di far reagire l’Italia e la Rai al progressivo decadimento di Euronews anche grazie ai consigli di Giacomo abbiamo saputo essere fedeli agli ideali più nobili del giornalismo italiano.  

Ringrazio i nostri iscritti di tutti i tempi, lo scrittore Francesco Rapazzini,  il poeta e imprenditore Silvano Masacci che ogni anno compie il miracolo di consentire la nostra assemblea generale a Parigi a costi accessibili. A Silvano mi lega anche il ricordo di mia madre che pure è stata una collega giornalista, una scrittrice, pubblicata da Marco Carpena che fu editore in Sarzana animatore del premio Lerici Pea, che Silvano aveva vinto, momenti mitici e non solo per la grande letteratura ligure. Ringrazio i vecchi e i nuovi iscritti sparpagliati nell’Europa francofona, l’eroica pattuglia di Passaparola dal Lussemburgo Paola Cairo, Maria Grazia Galati, Stella Elisa Emolo, grazie al nostro giuslavorista Ivan Callari che pure è al nostro fianco e che integra il prestigioso studio legale Castaldi, ringraziare devo la Région Rhone Alpes nella persona di Bruno Chaverini, ringrazio il Ministero degli Affari esteri, il dipartimento per gli italiani nel mondo, l’Ambasciatore Vignali, i tanti consoli che si sono avvicendati a Lione e con i quali il rapporto è sempre stato franco e molto costruttivo. Ringrazio il collega Andrea Barolini nostro segretario, Maria Bologna nostra antenna a Monte Carlo, le nuove iscritte Roberta Alberotanza che illustra l’Italia col suo prezioso lavoro culturale,  la collega francese Christelle Petrongari, la grande collega Marcelle Padovani, la giovane Annalisa Cappellini speranza del giornalismo italiano a Parigi, Roberta Lombardo Hurstel che è con noi fin dalla prima ora ed è una grande italiana di Francia. Le colleghe Rita Del Prete e Cecilia Cacciotto che hanno partecipato a fasi delicate delle nostre battaglie. Un sincero grazie di essere con noi al professor Dastoli, a Lucio Caracciolo.

La fondazione di ClubMediaFrance/ClubMediaItalie

Fin dal mio arrivo in Francia nel 1995 mi ha stupito notare che in questo Paese, cosi’ affine al nostro per infiniti aspetti (settori industriali concatenati, flussi migratori e straordinaria vicinanza culturale) il nostro comparto, quello giornalistico, col giornalismo francese si interfacciava in modo ottocentesco a dispetto delle enormi similitudini fra il giornalismo francese e quello italiano che in letteratura sono considerati nello stesso ceppo del giornalismo mediterraneo detto anche  pluralista-polarizzato, che comprende inoltre Spagna, Grecia, Portogallo. In Francia non esisteva una associazione giornalistica di matrice italiana che avesse come obiettivo una forte collaborazione col comparto giornalistico dell’insieme dell’Esagono. Noi redattori italiani ci trovavamo nel vasto territorio della francofonia europea, quindi aprire relazioni stabili, profonde  col giornalismo di Francia, Belgio, Svizzera, Lussemburgo e Principato di Monaco mi è sembrata cosa assolutamente ovvia per valorizzare il nostro ruolo, l’Italia e arricchire inoltre i paesi ospitanti.

Il primo nome dell’associazione è stato un omaggio alla Francia. ClubMediaItalie, nata come ClubMediaFrance nel 2004, è una associazione giornalistica europea di diritto francese affiliata alla FNSI, e come gruppo di specializzazione è riconosciuto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che opera con vocazione di tutela degli iscritti su quella che dovrebbe definirsi una ex frontiera che inanella Belgio, Lussemburgo, Francia, Italia, Svizzera, Montecarlo; la cerniera diagonale fra il nord e il sud dell’Europa. Ma al di là della tutela in 20 anni, anche attraverso Euronews, abbiamo cercato di riempire un deserto, quello della mancanza di un giornalismo europeo multilingue diffuso sul piano continentale. Lo abbiamo fatto con una pletora di iniziative come la fondazione di un premio giornalistico a Lione (poi interrotto per mancanza di sponsor), l’organizzazione di convegni, in omaggio anche a grandi italiani dimenticati dall’Italia come il compianto oncologo di fama internazionale fondatore e direttore del grande centro di ricerca epidemiologica contro il cancro della OMS di Lione, Professor Lorenzo Tomatis (fu George Pompidou ad affidargli l’incarico, Tomatis operava a Chicago dove era subito emigrato dopo la laurea in medicina a Torino per sottrarsi alle influenze dei baroni della medicina italiana) ma anche la compianta, straordinaria  benefattrice Memé Santilli che negli anni Sessanta (vedova e con cinque figli!) ha fondato, finanziato e diretto nel Rhône-Alpes 3 associazioni in aiuto a orfani, portatori di handicap e adulti dimenticati dal non ancora efficace stato sociale francese di allora,e non stiamo parlando di una ricchissima nobildonna

ClubMediaItalie resta quindi depositaria di storie di splendore a partire dall’obbligatoria riflessione sul giornalismo che significa saper vedere, saper raccontare e amare il mondo.

L’Italia che con la Stampa Estera di Roma e Milano, era stata fra i primi paesi ad aver capito l’importanza di sostenere associazioni giornalistiche di colleghi internazionali, doveva riuscire a proiettare nel XXI secolo questa tradizione, a partire dal doppio binario della comunicazione per gli italiani all’estero e della necessaria attenzione all’informazione sui grandi media di tutto il mondo.

Questo a maggior ragione se non si dispone di media internazionali come hanno tutti gli altri grandi paesi avanzati. L’Italia quindi sconta una arretratezza progettuale sconcertante. La Superpotenza dell’arte, dell’architettura, dello stile e della moda, della gastronomia, del buon gusto sul piano mediatico lascia solo che la sua immagine venga riflessa. Manca poi a vari livelli una vera coscienza della naturale dimensione internazionale italiana sul piano culturale; si’, c’è a livello accademico o gastronomico o enologico ma non certo sul piano della comunicazione.  Inoltre le veilleità della costruzione di un media compiutamente internazionale a guida italiana rimangono tali.

Per questo era dannatamente importante che l’Italia istituzionale restasse all’interno di  Euronews.

Bisognerebbe anche capire il concetto odierno del ruolo dei corrispondenti esteri europei in Europa, il concetto di estero che abbiamo. L’Europa non è più “estero” per italiani, francesi, tedeschi, spagnoli o almeno non lo dovrebbe esserlo. Come europeo, italiano e giornalista del XXI secolo non mi sento straniero a Ginevra, Parigi, Berlino, Madrid.  E invece oggi c’è l’Europa della finanza, quella dei mercati, l’Europa della politica ma l’Europa del giornalismo non si è mai profilata. Se l’Europa del giornalismo esistesse, cioè una dimensione di stringente dialogo collettivo, le redazioni del Corriere della Sera, di Le Monde, del Times o della Welt,  di El Pais, del Guardian,  l’insieme delle maggiori testate televisive nazionali in tutti i paesi europei, si esprimerebbero già efficacemente nelle diverse lingue continentali, saprebbero fare giornalismo in tante lingue e disporrebbero di siti multimediali che nemmeno progettano. Appaiono solo qua e là pagine in inglese in qualcuno dei maggiori quotidiani on line. Se invece tutto il giornalismo europeo parlasse più lingue probabilmente assiteremmo anche ad una accelerazione del dibattito continentale, ci sarebbero più incentivi alla coesione, non arrivo a dire che avremmo disinnescato la brexit ma sicuramente oggi avremmo meno giornalisti disoccupati in tutto il continente ed una informazione all’avanguardia avrebbe consentito una maggiore coscienza dei problemi continentali.

Invece nell’era della comunicazione totale l’Europa dell’informazione non esiste perché la morsa della finanza, la logica dominante del profitto tiene sotto scacco la nostra categoria, già fustigata da un mercato non più florido, inoltre la nuova tecnologia consente di abbattere i costi produttivi incoraggiando raffiche di licenziamenti nei media con crescente impoverimento dell’informazione. Una dimensione che ha generato l’era del “post corrispondente precario, mal pagato, vulnerabile, ricattabile” come aveva ben indicato la nostra grande collega francese Marcelle Padovani in un atto di ClubMediaFrance a Strasburgo.

Nel migliore dei mondi possibili invece i giornalisti dovrebbero essere gli esseri delle lontananze, destinati ad attraversare i confini, capaci di intavolare solide prospettive di mediazione nella dinamica delle loro corrispondenze.  

Il primo ruolo è quello di essere dei verificatori, dei demistificatori. Il vero giornalista brucia le maschere, vede al di là delle apparenze.

Osservando l’Italia dal nord Europa non posso che constatare la mancanza endemica di una classe dirigente che mentre cerca di guidare il paese percepisca il peso morale del suo compito e sia depositaria di ampie visioni internazionali.

L’ancoraggio in Europa è ineludibile anche se il vecchio continente resta  incompiuto. La nostra visione dell’Europa è quella di una dimensione sociale che ha bisogno di parole vere, di contenuti, di significati, di una informazione ricca che parli tutte le lingue e lo faccia in tutto il continente. Raramente ci  s’interroga su questi temi che sembrano relegati a un futuro lontano.

Inoltre la preponderanza della lingua inglese ha semplificato sommariamente la  molteplicità delle visioni e della ricchezza continentale e le impoverisce.

Tuttavia l’inganno è anche nelle dinamiche. Oggi giornalisti e lettori si mescolano nei quotidiani on line e sui social.  Il modo in cui molti direttori cercano di attrarre il pubblico spesso è subdolo. I lettori scrivono un commento e leggono i commenti altrui più dell’articolo stesso. A volte il giornalista-blogger sottopagato si butta nella mischia, commenta un commento. Lo spazio dato ai commentatori offre informazioni utili alla redazione come all’osservatore esterno: numero, livello culturale, indirizzo politico dei lettori attivi, preferenze ecc. “Per una stessa notizia, si possono paragonare non solo gli articoli, ma anche le migliaia di commenti sguaiati di un Daily Mail con le centinaia di commenti elaborati di un New York Times – ha scritto sul nostro sito l’illustre Jean Santilli, figlio di Memé Santilli – La “tiratura” del giornale online, che stabilisce le entrate pubblicitarie, è il numero dei clic. Si può valutare un giornale dalla qualità di articoli e commenti, e dal numero di trappole a clic: il video del micino carino, la straordinaria scoperta sul buco nero in cinque righe, che non basterebbero per spiegare le fasi della luna, ecc. E se clicchi il gattino col buco nero, domani avrai sullo schermo il bau-bau con la cometa. Le testate web offrono praticamente lo stesso servizio fotocopia delle agenzie online: stesso titolo, stesso pezzo di un solo lungo periodo, ma suddiviso in tableaux, come al cabaret”.

Il giornalismo in alta percentuale è ormai  infotainment in una logica in cui poco importa che l’informazione sia vera, il suo scopo è diventare virale e se poi è falsa diventa virale due volte con un utente che, sopraffatto da un fuoco di fila di finestre pubblicitarie, è costretto a cliccare 10 volte per ottenere un’informazione compiuta banalissima.  Questa è l’era della post-verità in cui  giornalisti e lettori sono tutti passivi e interattivi, vittime universali di un’unico sistema.

A questo punto è ovvio che le testate perdano lettori mentre il marketing tecnologico dell’algoritmo  mira al pubblico scelto come bersaglio e in questo gran concerto regnano sovrani gli influencer, nuova progenie del web  che in realtà ha solo scoperto un nuovo redditizio, banalissimo sistema pubblicitario.

In questa macchina che gira a 1000 i giornalisti dei desk non hanno più tempo per verificare le informazioni e gli internauti  condividono masse di news che alla fine in alta percentuale saranno anche molto poco lette. I quotidiani sopravvissuti in edicola rincorrono questo vortice ma si sente che il lettore ha perso fiducia in testate con corpi redazionli fantasmatici e dove scompaiono i  grandi esperti. Ecco perché l’Europa della comunicazione è ferma al palo, a tutto vantaggio dell’unica testata vincente che non è europea: Google.

La stampa, che non garantisce più il suo ruolo di parte terza fra istituzioni e cittadino, è costantemente intrappolata da lobby e interessi politici e industriali. Non va meglio neanche ai media dichiaratamente schierati a fronte degli scandali che ritmano l’attualità e almeno in Italia la difficoltà crescente di portare i responsabili politici in tribunale spinge i cittadini a trarne le conseguenze e ad armare processi sommari attraverso i social che fanno un giornalismo sguaiato anche lontano dai criteri della professione.

A fronte di tutto questo il ruolo del sindacalismo nel settore media viene sempre più messo all’angolo e le conquiste che decenni di lotte avevano assicurato a tutti i professionisti dell’informazione si disgregano.

ClubMediaItalie faticosamente ha assolto l’ingrato compito di informare dettagliatamente i Consoli Generali di Lione che si sono succeduti negli ultimi anni,  il Ministero degli Affari esteri, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, parte della classe politica, sulla trasformazione che Euronews ha imboccato per mancanza di una progettualità virtuosa che era capitale per l’Europa.  Già tre anni fa quello che era stato il nostro direttore generale si è trasferito a Dubai, nuova mecca del capitalismo rampante dopo aver lasciato mano libera al magnate egiziano Nagib Sawiris che ha venduto la testata nell’indifferenza delle minoritarie televisioni pubbliche azioniste del canale che poi sono sparite nel 2022.

La battaglia sindacale

Negli ultimi anni ho vissuto e assitito personalmente alla progressiva robotizzazione del lavoro giornalistico che vede il progresso folgorante dell’intelligenza artificiale e che genera un’informazione disabitata. La professione si svuota in modo direttamente proporzionale al cannibalismo che il neoliberismo impone alla gestione contabile dei media.

Quando nacquero la fotografia e il cinema si disse che queste avrebbero ammazzato la pittura e il teatro, erano semplicemente apparse due nuove arti di più immediato effetto ed usura. Tuttavia la profondità di una narrazione umana ha qualcosa in più rispetto alla dinamica dell’intelligenza artificiale generativa. L’uomo non solo conosce l’incertezza, ma fa trapelare quel qualcosa che mette in gioco la sua umanità. Lo si puo’ sperimentare anche quando sei in contatto via webinar, in teleconferenza con persone remote nel resto del pianeta, se parli toccando l’animo di chi ti ascolta a migliaia di chilometri senti un silenzio più profondo nell’immensità del web e capisci che hai fatto centro.

In qualche caserma ancora oggi il suono di una trombetta registrata squilla l’ora del rancio. I soldati, il personale, sentono il segnale e vanno alla mensa ma se un estroso ufficiale di picchetto invece che attivare la solita trombetta chiedesse a un famoso flautista di suonare qualche nota i soldati certo si metterebbero in fila ma in più sentirebbero  qualcosa d’altro, quel qualcosa è proprio cio’ che  l’algoritmo non puo’ esprimere, o meglio   puo’ computerizzare anche i sentimenti ma non è in grado di produrli autonomamente, sarà sempre più rapido nel calcolo rispetto alla mente umana ma la matematica  resta comunque una fabbrica di certezze assolutamente illusorie come lo sapevano gli antichi greci che avevano architettato filosofie e strumenti logici per disinnescare l’incertezza. Quel tanto di non computerizzabile che possiamo  definire l’anima, (che forse puo’ essere attribuito agli altri esseri viventi non umani) non uscirà mai da una macchina ed è l’anima che “move il sole e l’altre stelle”.

Il lavoro giornalistico che ho fatto in questi ultimissimi anni mi ha reso disabitato e ha desertificato anche i miei colleghi. Ci siamo accorti che da tempo non provavamo più quella sensazione di arricchimento improvviso che il mestiere dell’informazione ben fatto ti garantisce e che era un incentivo virtuoso alla professione.

Nel flusso pervasivo delle news viene presa per vera una realtà apparente, i sondaggi di mercato, le statistiche a volte truccate, gli effetti a sorpresa delle battute dei politici, le fake news, gli scorni e le infinite trappole di chi crede che sia vero solo quello che lievita dai social. Un esempio eclatante è quello di essere riusciti a far credere che i problemi dell’Europa vengano soprattuto dai migranti distogliendo l’attenzione dai gravi problemi  internazionali di cui l’emigrazione clandestina è solo uno dei cascami. Questa è la prova di come esista ahimé una porzione di umanità che fra qualche anno sarà pronta a credere all’invasione degli ultracorpi e che bisognerà difendersi dagli extraterrestri che saranno, statene certi, la prossima risorsa elettorale. Basta aver letto i racconti di Ray Bradbury per capire che i marziani siamo noi!

In questo scenario ClubMediaItalie è stata all’origine di azioni mirate per sollecitare la Rai per la salvaguardia almeno dei redattori italiani storici di Euronews che in buona percentuale sono in disoccupazione. Siamo stati gli attivatori di due interrogazioni parlamentari a Roma (in epoca governo Gentiloni e governo Conte) che non hanno avuto risposte dalle istituzioni e in questo, badate bene, la vera sconfitta ricade sull’Italia non certo su di noi che abbiamo mantenuto dignità fino all’ultimo. Devo quindi esprimere il mio sincero ringraziamento al compianto Riccardo Laganà e alla carissima Rita Borioni che quando erano consiglieri della Rai non si sono stancati di perorare la causa di Euronews (come già aveva fatto il carissimo Franco Siddi), che ripeto prima di tutto era una causa di dignità professionale del Paese Italia.

Va anche ricordato il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio: è stato l’unico al vertice di un rilevante dicastero a reagire su nostro impulso e a chiedere spiegazioni alla Rai di quello che succedeva a Euronews. La nostra azione non ha prodotto i risultati apprezzabili. Nessuna altra lingua europea ha perso cosi’ tanto come quella italiana con la scomparsa della redazione da Lione.

La Francia dispone di ottime televisioni a proiezione internazionale come Arte e France 24, TV5. L’Italia attraverso la Rai aveva solo Euronews che sopravvive oggi con una redazione romana ridotta all’osso e votata al digital first mentre il suo canale RaiNews24 ha una vocazione sostanzialmente nazionale.

La SNJ il nostro sindacato francese di riferimento e ClubMediaItalie hanno denunciato lo snaturamento della missione inziale di Euronews come servizio pubblico europeo, l’indifferenza della Rai alla morte della sua creatura, con la definitiva perdita di una voce del servizio pubblico italiano sullo scenario della comunicazione internazionale.

L’Europa ha perso qualcosa ma forse siamo sulla scia del fallimento della conferenza di Lisbona che all’inizio del secolo voleva far diventare il nostro continente il campione  dell’economia dell’informazione e non  c’è riuscita. Nell’ansia del  mantenimento della sua egemonia gli Stati Uniti hanno preso ancora il sopravvento plasmando la globalizzazione al ritmo del GAFAM, il mega oligopolio denominate di Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft cioè gli araldi del capitalismo cloud.

Questo periodo che stiamo vivendo verrà repertoriato come quello in cui l’economia statunitense ha ancora dominato e imbrigliato il resto del mondo con l’arma informatica.  L’età di internet è quella della rivoluzione del modus operandi in cui i veri padroni del medium sono gli sponsor a vario titolo, chi fornisce la forza finanziaria e informatica ingabbiando l’impresa giornalistica, trasformando pure il suo pubblico in merce di scambio perché i suoi dati sono venduti agli sponsor affinché questi sappiano con chi stanno parlando e siano padroni della loro propaganda.

L’esperienza giornalistica di Euronews lascia comunque una straordinaria eredità: in queste ultime settimane sotto la guida del professor Pierre Mongin dell’Ecole de Guerre Economique di Parigi ho elaborato una mappa mentale sulla dinamica dell’opinione pubblica europea, una mappa detta euristica, votata a scoprire qualcosa. Le neuroscienze ci dimostrano le ragioni dell’efficacia delle mappe mentali e qui avete Centaurus24, chiamata cosi’ perché assomiglia al sistema stellare di Alpha Centauri ed è scandita in due sistemi, una mappa mentale e una mappa concettuale che si intersecano, sono di fatto due mappe correlate che creano un centauro.

Anche qui l’idea non è stata lineare. Quando ho varato ClubMediaFrance nel 2004 tutti mi hanno sconsigliato di farlo, dicevano che era una aggregazione inutile. In pochi mesi invece ho raccolto quasi 80 mila euro di finanziamenti e l’adesione del Rhône Alpes. Quando nel 1995 ho deciso di proporre in Francia una mostra su Mussolini (l’unica che sia mai stata fatta) qualche dirigente italiano a Lione mi diede del pazzo poi il Centre d’Histoire de la Résistene et de la Déportation di Lyon tiro’ fuori quasi due milioni di vecchi franchi per la mostra Mussolini un dictateur en carte postale, la mostra giustifico’ addirittura la pubblicazione di un costoso volume d’arte presso le edizioni Somogy di Parigi per spiegare come aveva funzionato la propaganda nazifascita. Tutto a partire da un elemento piuttosto semplice: nessuno si era accorto che la silhouette mostro del film “Terminator” realizzato da James Cameron e interpretato da Arnold Schawrzenegger, che incarnava un cyborg killer inviato indietro nel tempo per modificare il corso degli eventi, se ritagliata poteva essere perfettamente sovrapposta alle figure disegnate da Gino Boccasile per i manifesti di reclutamento delle Repubblica di Salo’  dove giovani SS, col braccio ipertrofico saldato alla machinenpistole e il mascellone, dovevano invogliare gli europei ad arruolarsi per difendere il nazismo. Queste sono state alcune delle trappole della propaganda poi  servite di modello ad un kolossal hollywoodiano.

Oggi ragionare di giornalismo e sostenere la professione significa evitare la propaganda.

La mappa è solo un embrione ed io spero di estrarre dalle mille idee che raccoglierà nei mesi e negli anni a venire se non la soluzione per un giornalismo autenticamente europeo almeno un forte stimolo alla sete della conoscenza e al bisogno di trovare parole vere. 

Un sentito ringraziamento a Radio Radicale che registra l’insieme della nostra giornata e conferma come sempre la più accurata sensibilità giornalistica europea oggi rintracciabile in Italia.

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